Oratorio

L’Oratorio della Civetta si trova in via Cecco Angiolieri, sul lato sinistro della strada che scende da piazza Tolomei verso S. Vigilio formando due curve in lieve pendenza. La chiesa è collocata nel volume basamentale di una torre facente parte di quell’insieme di costruzioni medioevali che, disposte approssimativamente in cerchio, formarono nei secoli XI e XII il Castellare della famiglia Ugurgeri. La scelta del luogo in cui realizzare la chiesa si rivelò molto felice poichè i civettini, dopo aver sistemato in prossimità del Castellare il loro luogo di culto, si sono insediati ancora più concretamente in quello spazio suggestivo acquistando altri ambienti che, dopo importanti lavori di recupero e valorizzazione, sono divenuti sede prestigiosa della Società di Contrada Cecco Angiolieri. Oggi, dunque, il cortile interno, di forma quasi triangolare, intorno al quale sono disposti i corpi verticali delle case-torre, rappresentano il cuore della Civetta: nell’angolo nord è l’ingresso alla stalla del cavallo, dal lato est si accede alla Sede (con la Sala delle Adunanze e il museo), sul fronte opposto si aprono le stanze comunicanti con la sagrestia. Il Castellare ha due ingressi entrambi coperti: il primo da via Cecco Angiolieri, pochi metri a destra dell’Oratorio, ad archivolto, ed il secondo da via S. Vigilio, che passa sotto lo stretto vicolo del Castellare voltato a botte.

 

La fondazione

La Civetta è stata l’ultima Contrada che si è costruita un Oratorio per officiare le proprie feste religiose e tutte le sacre funzioni. Da molto tempo i contradaioli sentivano la necessità di acquisire un luogo dignitoso e definitivo; durante l’adunanza del 5 maggio 1922, il Vicario Corrado Spediacci, esponendo la situazione riguardante il tentativo di procurare alla Civetta una sede adeguata, dette “… chiarimenti circa le pratiche fatte per un’eventuale sede nella chiesa di S. Vigilio, facendo notare come da anni la Contrada si trovi nell’impossibilità di avere una sede propria…, quindi occorre provvedere”. I dirigenti della Civetta cercarono dapprima, come dimostra il riferimento alla chiesa di S. Vigilio, di farsi assegnare dalla Curia Arcivescovile l’uso perpetuo di un edificio sacro non officiato, tentando la strada che, alla fine del 700, aveva dato a molte Contrade la possibilità d’acquisire chiese abbandonate. Gli sforzi compiuti in tal senso non portarono risultati concreti, cosicché i civettini decisero di risolvere il secolare problema con le proprie forze. Nel 1932 venne nominata una “Commissione incaricata di trovare un locale adatto alla sede della Contrada”, il 20 agosto dello stesso anno la Commissione informò l’assemblea generale che il falegname Agostino Semplici era disposto a vendere un suo locale, posto al numero 11 di via del Re, confacente al bisogno della Contrada. L’assemblea, presieduta dal Priore Guido Ricci, si pronunciò unanimemente in favore dell’acquisto, nella convinzione che “…la Contrada potrà finalmente avere una sua sede degna…”. La falegnameria del Semplici era costituita da tre stanze su due piani e costò alla Civetta quindicimila lire; l’atto di vendita fu stipulato il 21 dicemebre 1932 presso il notaio Ricci; firmarono per la Contrada il consigliere Rodolfo Angelucci e il camerlengo Ruggero Rosso.

 

Vicende della costruzione e arricchimento artistico

Il 31 ottobre 1932, ancora prima d’entrare legalmente in possesso del locale in cui voleva edificare il suo Oratorio, la Contrada aveva esaminato i progetti forniti da due architetti per la sua ristrutturazione: Geremia Mastii aveva presentato una soluzione di ispirazione settecentesca, mentre Bruno Bruni, rimanendo più aderente alle caratteristiche storiche della costruzione che avrebbe ospitato la nuova chiesa, propose un intervento di matrice neogotica. La Commissione valutò positivamente il progetto dell’ arch. prof. Bruni, basato essenzialmente sul ripristino di un portale a sesto acuto del quale rimaneva traccia nel basamento della torre, giudicandolo in maggiore accordo con lo stile prevalente del Castellare e meno costoso da realizzare. Subito dopo l’acquisto dell’immobile, la Contrada chiese il permesso di costruzione, affidando l’opera di ristrutturazione all’impresa di Amedeo Luchini; il 13 febbraio fu stipulato un contratto che descriveva gli interventi da compiere e che prevedeva l’ultimazione dei lavori entro il 30 maggio 1933. La parte più importante riguardava il prospetto su via del Re, basamento in pietra dell’antica torre degli Ugurgeri, che aveva subito nel tempo evidenti manomissioni: l’ingresso originale, testimoniato dall’arco ogivale, era stato chiuso ricavando ai suoi lati due porte rettangolari, mentre, a destra dell’arco, una trasformazione cinquecentesca aveva aggiunto una finestra architravata per dare luce al piano superiore. Il progetto dell’architetto Bruni richiuse le due aperture per collocare l’ingresso in asse con l’antico arco a sesto acuto, la finestra esistente fu ridisegnata più stretta come quella di una torre gotica, sistemando al suo interno una piccola campana. Il prospetto sul Castellare, che aveva un’apertura con arco a tutto sesto, rimase immutato, la finestra fu invece resa leggermente più stretta. All’interno fu eliminato il controsoffitto, riportando alla luce la volte a botte ribassata; una parete trasversale ebbe la funzione di separare il volume anteriore, dedicato alla chiesa, da quello retrostante, dove trovò posto la sagrestia e una scala la quale, salendo all’ambiente soprastante, permetteva di uscire sulla piazzetta interna, più alta di un metro e mezzo rispetto all’Oratorio. Del progetto che aveva presentato nel settembre 1932, il Bruni fornì due mesi dopo una variante che riguardava la pianta della sagrestia e l’apertura verso l’interno del Castellare: nella prima versione era stata prevista una scala a rampa unica, appoggiata alla parete divisoria che portava al piano superiore, ma non consentiva di uscire sulla corte; la seconda soluzione spostò la scala in un angolo, facendole assumere una forma a due rampe in modo da sfruttarne il piano intermedio per avere acceso all’esterno. Cambiò di conseguenza anche il disegno del prospetto rivolto sul Castellare, dove un portone sostituì appropriatamente una doppia finestra sovrapposta. Ambedue le varianti proponevano inoltre la costruzione di un soppalco sopra l’ingresso per sistemarvi il coro o l’orchestra, idea che venne poi accantonata. La trasformazione della facciata fu portata a compimento celermente entro il 1934; da quell’anno però il completamento definitivo dell’Oratorio subì il primo ritardo, generato dalla vittoria riportata nel 1934, che indebolì le casse della Contrada. Nel 1936 fu costruito l’altare marmoreo, l’anno successivo la Civetta vinse nuovamente il Palio dopodichè i lavori furono rallentati dal conflitto mondiale. Al termine della guerra, quando l’Oratorio era ormai pronto, sorsero però dei problemi da parte della Curia che non intendeva permettere la consacrazione di un luogo di culto situato sotto ad un complesso di abitazioni private. Per superare l’ostacolo imprevisto, la Contrada si rivolse a Giuseppe Zazzeroni, istriciaolo, che in veste di vicario si adoperò presso l’Arcivescovo al fine di ottenere l’autorizzazione necessaria per poter ospitare l’ostia consacrata dentro la nuova chiesa. Il vicario riuscì ad assolvere velocemente al suo delicato compito: il 5 settembre 1945 il delegato arcivescovile, Mons. Agostino Campanini, benedisse l’Oratorio e, il giorno successivo, l’Arcivescovo Mario Toccabelli consacrò l’altare: l’inagurazione al pubblico fu tenuta il 16 settembre. Una trasformazione sostanziale dell’aspetto interno fu poi operata nel 1973, decidendo di scrostare dalle pareti l’ intonaco dipinto a fasce orizzontali bianche e grigie che il Bruni vi aveva fatto eseguire (decorazione “in stile” ritenuta non più consona alla mutata sensibilità estetica), in modo da rendere visibile la muratura sottostante in pietre e mattoni.
All’interno si trovano un olio su tela di Vincenzo Rustici, della fine del ‘500, raffigurante la Madonna con i Santi Carlo Borromeo e Luigi Gonzaga. Tra gli arredi sacri, due stupendi calici d’argento a sbalzo e cesello del XVII e un reliquiario di legno della fine del secolo successivo. Molti reperti sono tornati alla luce dopo il recupero del “pozzo di butto”, oggetti che appartengono al periodo dal XIV al XVIII secolo.