Territorio
Chiesa e chiostro di San Cristoforo
L'origine della Chiesa è antichissima: le prime notizie si hanno intorno al 1087. Fin dagli ultimi anni del secolo XII fu scelta dal Comune per pubblico servizio civile: dinanzi al suo altare si riunì dal 1100 il Consiglio Generale della Repubblica, detto della Campana dalla squilla (ora nel Palazzo Comunale) che veniva suonata per dare il segnale delle adunanze. In San Cristoforo risiedettero pure i Consoli della Curia del Placito e delle arti varie, tra cui quella degli speziali. Fu in questa Chiesa e nella piazza relativa che il popolo senese decise di contrastare le angherie fiorentine, preparandosi in preghiera alla battaglia di Montaperti (4 settembre 1260); ed il Comune, in ricordo dell'esaltante vittoria, eresse presso la strada maestra un'alta colonna portastendardo, collocandola su un lungo sedile di pietra, oggi ridotto a piedistallo. Nel 1610 venne sistemata sul fusto una lupa senese di stagno, realizzata da Domenico Arrighetti, detto il Cavedone, che però nel 1885 fu sostituita con una copia fatta da Leopoldo Maccari. Nei giorni del Palio la colonna sostiene l'insegna del Terzo di Camollia e la bandiera della Civetta.
La Contrada della Civetta fu ospitata in questa chiesa dal 1786 al 1945.
In origine la chiesa aveva sulla sinistra la canonica e sul retro il chiostro, il cimitero ed uno spedaletto. Formava una specie di isolato, circoscritto sul primo tratto della Via del Moro, dalle mura della terz'ultima cinta urbana (da cui si apriva una porticciola, detta di San Cristoforo, oggi arco del Vicolo al Vento), dal Vicolo al vento e da Via del Re (l'attuale Via Cecco Angiolieri). la facciata della primitiva fabbrica era di tipo quasi pisano, con marmi bianchi e neri, scompartiti a strisce ed a losanghe. Alla fine del cinquecento, il sacro edificio fu modificato per essere reso più ampio: in un disegno, realizzato dal Vanni, la Chiesa appare con due appendici laterali, che invece mancano nella raffigurazione di un codice del 1444, miniato da Niccolò di Giovanni Ventura. Il tempio si allungava di un'intera campata verso il Palazzo Tolomei e perciò l'area della piazza era meno ampia di quella attuale. Ma a seguito del terremoto del 1798, la chiesa di San Cristoforo subì lesioni gravissime, tanto che i lavori di rifacimento portarono ad un drastico ridimensionamento della sua lunghezza di circa otto braccia. La nuova facciata in cotto, spartita da quattro colonne in stile neoclassico, fu fatta da Tommaso e Francesco Paggagnini (1800). Il prospetto fu adornato con le statue di due beati, Bernardo e Nera Tolomei, opere di Giuseppe Silini (1802), e con un grande stemma in pietra dei Tolomei, recuperato nella villa di Fontebecci.
A testimoniare l'originario stile romanico di San Cristoforo restano comunque le due zone inferiori del campanile, una porticina sul fianco destro della Chiesa, dal lato di Via Cecco Angiolieri, e il bel chiostrino, con portico su basse colonne dai capitelli variati, ripristinato nel 1921.
Ricerca e testo di Alberto Fiorini
Piazza Tolomei e Lupa Bigemina
PIAZZA TOLOMEI si apre, regolarmente squadrata, dinanzi al Palazzo Tolomei, a metà circa di Banchi di Sopra. Ha per fondale la chiesa di S. Cristoforo.
Verso la discesa di Via del Moro (lato sinistro della piazza), c’è il bel Palazzo Palmieri Nuti (1540).
Sulla destra della piazza, invece, c’è un edificio in falso stile rinascimentale. Lo stabile apparteneva alla famiglia Marescotti Tolomei; successivamente fu acquistato dai Bandini.
La bella piazza è dominata dall’elegante palazzo ogivale in pietra grigia dei Tolomei che si erge isolato dai vicoli della Torre e del Coltellinaio. Non mancarono ad esso distruzioni e rifacimenti per riparare i danni provocati dai Ghibellini.
Ricca di storia è anche la chiesa di S. Cristoforo. L’origine della chiesa è antichissima.
L’origine della chiesa è antichissima: le prime notizie si hanno attorno al 1087.
Fu in questa chiesa e in questa piazza che il popolo senese decise di contrastare le angherie fiorentine, preparandosi in preghiera alla battaglia di Montaperti (4 settembre 1260); ed il Comune, in ricordo dell’esaltante vittoria, eresse presso la strada maestra un’alta colonna portastendardo, collocandola su un lungo sedile in pietra, oggi ridotto a piedistallo. Nel 1610 sul fusto venne sistemata una lupa senese di stagno, realizzata da Domenico Arrighetti, detto il Cavedone, che però fu sostituita nel 1885 con una copia fatta da Leopoldo Maccari. Nei giorni del Palio la colonna oggi sostiene l’insegna del Terzo di Camollia e la bandiera della Contrada Priora della Civetta.
Palazzo Tolomei
La bella piazza è dominata dall’elegante palazzo ogivale in pietra grigia dei Tolomei che si erge isolato dai vicoli della Torre e del Coltellinaio. Severo e leggiadro, stupisce per la facciata dalle intatte linee duecentesche, appena ingentilite nella parte superiore da forme architettoniche rinascimentali.
Lo stemma dei Tolomei è azzurro con fascia d’argento, accompagnata da tre mezzelune montanti, due in capo e una in punta.
Secondo un’origine favolosa inventata da coloro che si sono occupati della genealogia della famiglia, i Tolomei discenderebbero dai sovrani d’Egitto; in realtà vennero in Italia al seguito di Carlo Magno. Stabilitisi nel territorio senese, accumularono presto ingenti fortune e furono tra le prime famiglie di banchieri, che esercitarono l’arte del cambio.
I Tolomei dettero alla Chiesa almeno venti beati, tra cui Bernardo, nato nel 1272, fondatore dell’Ordine degli Olivetani. Da ricordare è anche la Pia dantesca della V cantica del “Purgatorio”, un’anima accorata e pregante, pervasa di una malinconia più sottintesa che espressa.
Da bambina Pia forse visse proprio nel palazzo di Piazza Tolomei; andò in sposa a Nello Pannocchieschi, che l’avrebbe relegata in Maremma e, poi, uccisa o fatta uccidere (fine sec. XIII) per passare ad altre nozze, oppure per punire l’infedeltà di lei. Presso Massa Marittima si mostra ancora il salto della Contessa.
Castellare degli Ugurgieri
Di fronte a Via delle Donzelle un androne ad archivolto in salita immette in una suggestiva piazzetta triangolare, da cui si esce nuovamente per un altro passaggio a lungo fornice, che si apre in faccia alla chiesa di S. Vigilio.
E’ il VICOLO DEL CASTELLARE, così detto dal Castellare degli Ugurgieri, che è un po’ il cuore della Civetta, poiché qui la Contrada ha la sua sede, con la Sala delle Adunanze e delle Vittorie, la stalla, la sagrestia ed altre “stanze”.
I castellari a Siena in passato furono molti: si ricordano quelli dei Salimbeni, dei Malavolti, dei Rossi, dei Marescotti; ma oggi il Castellare per antonomasia è questa piazzetta caratterizzata dagli spazi verticali degli edifici e dal retro del duecentesco Palazzo Ugurgieri, riconoscibile per la parte inferiore in pietra e per quella superiore in laterizio, arricchita da grandi archi gotici a bifore.
Il Castellare degli Ugurgieri è l’unico rimasto a testimoniare l’originale forma di inurbamento dei feudatari senesi, allorché, abbandonata la campagna per la città, da signori di guerra si trasformarono in signori di commercio e di denaro riunendosi in potenti consorterie, formate da tutte le famiglie della casata. Duccio Balestracci definisce i castellari nidi di nobili e tale fu anche quello degli Ugurgieri, la cui famiglia proveniva dalla Val d’Arbia.
Fondatore della casata fu Winigisio, venuto in Italia nel 788 con Carlo Magno.
Gli Ugurgieri possedettero sia la Contea della Berardenga, che da essi prese tale appellativo, ricorrendo il nome di Berardo con grande frequenza nei primi conti, sia quella della Scialenga, il cui centro era Asciano.
Furono signori di Montaperti di Pancole e di altri centri della Val d’Arbia e conservarono per secoli un vastissimo feudo che dai monti del Chianti si spingeva fino all’Amiata e alla Maremma.
Per insegna ebbero uno stemma d’oro con tre leoni azzurri (i due del capo affrontati e sostenenti una ruota con otto raggi rossi, l’altro in punta), e il capo d’oro carico di un’aquila spiegata di nero, coronata del campo.
I conti della Berardenga vennero in Siena nel secolo XIII e la loro famiglia fu una delle prime tra quelle che si dissero Consolari, per merito di Ugo di Ruggieri, che divenne console nel 1183, quando gli Imperiali furono battuti al Rosaio. Alla Repubblica Senese seppero sempre dar forza con le loro armi e con il loro sangue, come Giovanni Ugurgieri, morto eroicamente a Montaperti, il cui valore e sacrificio sono ricordati in una lapide murata in un angolo del Castellare.
Girolamo Gigli ha scritto che gli Ugurgieri mantennero sempre lo splendore tratto dai loro maggiori col sangue e lo rendettero vie più chiaro colla magnificenza, e colle loro gloriose gesta, o sieno nel sago, o nella toga, maneggiando con destrezza e con valore gli affari, e politici, e militari, né pur mancando loro quel lustro, che deriva in una famiglia dalla santità, dalla dottrina, e dalle dignità sì sacre, sì profane.
Come si accenna nel documento del “Cartulario della Berardenga” precedentemente citato, nel 1142 gli Ugurgieri abitavano già in ruga Sancti Christophori, in fondo alla quale, pochi anni dopo, fecero erigere la chiesa di S. Vigilio. Nel 1212 alzarono la loro poderosa casa-fortezza nella parte superiore della valle del Campo, in un punto nodale del tessuto urbano nascente, fuori della cerchia più antica delle mura, ma in prossimità della Francigena, che dominavano anche da due torri.
Una torre vigilava l’androne per il quale si entrava nel castellare; l’altra, i cui resti si vedono ancora in un cortile interno del gruppo di case tra Via delle Donzelle e la piaggia di S. Vigilio, costituiva una specie di sentinella avanzata verso il Campo, giacché gli Ugurgieri possedevano in quella direzione fondachi. Apparteneva ad essi la maggior parte del terreno che si estendeva verso la valle del Montone, fino al luogo che fu occupato dal cosiddetto Mercato Vecchio. Le altre case del Castellare, quelle nei cui fondi è stato ricavato il museo della Civetta, hanno poi ospitato i magazzini e le stalle della consorteria; ma in origine, quando la nobiltà si misurava dal numero e dall’altezza delle torri e dal possedere una loggia, forse, qui, rivolto verso S. Vigilio, era il porticato d’ingresso al maniero degli Ugurgieri.
I fabbricati lungo Via Sallustio Bandini sono di epoca più tarda rispetto al palazzo e risultano addossati alla cinta murata che fu fatta salire da Follonica dietro alle chiese di S. Vigilio e di S. Cristoforo. Probabilmente una parte di questa cinta sfruttò le mura stesse del Castellare, tanto che gli Ugurgieri ebbero l’uso privato della porta di S. Vigilio, della quale la consorteria poté servirsi come via di scampo verso la campagna in caso di turbolenze in città.
In passato il Castellare ebbe anche un’altra uscita su Via Cecco Angiolieri, attraverso un arco tuttora visibile nella stalla della Contrada della Civetta. Ma questo vicolo coperto, ben individuabile da una striscia di mattoni e dalla pavimentazione originaria in pietra serena esistente all’interno di una bottega sulla sinistra del Palazzo Ugurgieri (n.c. 39), fa parte - per usare un’espressione di Letizia Franchina - dei misteri del Castellare, al pari dello straordinario pozzo di butto degli Ugurgieri, risalente al secolo XIV, scoperto dai Civettini nei sotterranei del loro museo nel 1982.
Ricerca e testo di Alberto Fiorini
Società della Contrada Priora della Civetta
LINK SOCIETA'
Economato della Contrada Priora della Civetta
Via Cecco Angiolieri e casa di Cecco
L’attuale VIA CECCO ANGIOLIERI, che unisce Piazza Tolomei alla Via di S. Vigilio, in origine trasse il proprio nome dalla chiesa di S. Cristoforo.
Al principio della strada, anticamente, c’era il cimitero di S. Cristoforo, che si estendeva dietro alla chiesa dallo spedaletto per i pellegrini sino alla strada.
Prima della compilazione dello “Stradario” del Mazzi, Via di S. Cristoforo era detta Via degli Alberghi del Re per esservi stati, in passato, alcuni ostelli così denominati.
Nel 1871 l’appellativo della strada venne semplificato nel più generico Via del Re (senza specifica allusione ad alcun sovrano).
Tale denominazione fu mantenuta anche dopo il rinnovo toponomastico urbano operato nel 1931.
Infine, in occasione del VII Centenario della nascita di Cecco Angiolieri, fu provveduto al cambiamento dell’antica denominazione e, assai opportunamente, Via del Re fu dedicata al famoso poeta medioevale senese.
La Via Cecco Angiolieri, dopo il Vicolo al Vento, prosegue in lieve pendenza e piega a forma di esse fino alla chiesa di S. Vigilio. In Via Cecco Angiolieri si trova l’Oratorio della Contrada Priora della Civetta, realizzato nel periodo 1933-45, ristrutturando un fondo che ospitava una falegnameria.
Croce del Travaglio
La CROCE DEL TRAVAGLIO fu il punto nodale della città medioevale, poiché vi si incontrano le tre principali strade dei Terzi: Banchi di Sopra, Banchi di Sotto e Via di Città.
Durante le contese cittadine, questo luogo risultò diverse volte un centro veramente nevralgico e strategico, e attorno ad esso si accesero le mischie più accanite.
Alla Croce del Travaglio si trova anche la Torre di Rocca Bruna. L’antica torre è riconoscibile per essere tutta in pietra grigia e per avere un coronamento merlato, appostovi nel secolo XVI dopo che fu mozzata all’altezza dei tetti delle case.
In passato si favoleggiava che Rocca Bruna fosse collegata per mezzo di cunicoli a Castelvecchio, a Castel Montone ed a Camollia, in quanto presso di essa si spalancavano aperture profondissime.
Logge della Mercanzia
La sede dei mercanti sorse nel 1310 su un'area conquistata dagli eredi di Pepo di Melianda e da Ciampolo di Jacomo Gallerani. Il Comune contribuì pagando almeno tre quinti del prezzo d'acquisto. Il primitivo palazzo della mercanzia, che fu eretto al posto della chiesa di S.Paolo e della casa di Pepo di Melianda, inizialmente ebbe un piano di meno rispetto alla costruzione attuale e, dalla parte del Campo, una facciata in stile gotico, coronata da merli, attribuita a Niccolò dei Cori. Sulla spianata del Travaglio, Pietro del Minnella, su un disegno di Sano di Matteo (1417-'28), abbellì il fabbricato con l'elegante loggia (che, oltre della Mercanzia, fu detta dei Mercanti o di S.Paolo), formata da tre alte arcate su pilastri marmorei, ornati con statue e ricchi capitelli nello stile di transizione dal gotico al rinascimentale; le volte furono decorate con preziosi stucchi ed affreschi.
Dopo la caduta della Repubblica, la loggia conobbe purtroppo l'incuria e l'abbandono, al punto che vi trovarono ospitalità i banchi dei treccoloni e dei mercanti al minuto; di notte vi sostavano i vagabondi e le cortigiane d'infimo ordine, che, nella stagione fredda, usavano persino accendervi il fuoco.
La Corte di Mercanzia fu modificata statutariamente in occasione della soppressione delle Arti nel 1777 e venne definitivamente abolita il 26 novembre 1780. La decadenza dell'istituzione era già stata segnata dalla cessione della sede nel 1764: il fabbricato, infatti, era stato acquistato con un atto di permuta dall'associazione dei Signori Uniti del Casino, che gli cambiò destinazione ed aspetto per adattare i suoi ambienti a circolo culturale e ricreativo. Dove prima si radunavano i mercanti, la nobiltà senese realizzò il proprio luogo di ritrovo per i giuochi con le carte, per le piacevoli veglie e per gli oziosi conversari.
Un'ulteriore trasformazione fu avviata nel 1766 ad opera dell'architetto fiorentino Ferdinando Fuga. I lavori consistettero nella sopraelevazione di un piano, nella copertura dei vicoli di S.Pietro e di S.Paolo e nella costruzione della facciata verso la Piazza, con relativa lunga ringhiera per poter assistere comodamente al Palio ed agli spettacoli nel Campo. Gli ultimi interventi furono fatti nella Loggia, che nel 1887 venne chiusa con una pregevole cancellata in ferro, disegnata da Augusto Corbi ed eseguita nell'officina senese di Pasquale Franci.
Ricerca e testo di Alberto Fiorini
Piazzetta Sabatino Mori
Con questa nuova intitolazione (la cerimonia di apposizione della targa toponomastica ha avuto luogo l’8 dicembre 2007) è indicato il tratto senza sfondo nella parte più bassa di Via Calzoleria (cfr.), quello che in passato, girando attorno all’antica chiesa parrocchiale di S. Pietro alle Scale in Banchi, oggi scomparsa e trovando sbocco in Banchi di Sotto dopo essere passato davanti alla facciata dell’antico oratorio con una parte coperta, ebbe nome Chiassino di S. Pietro Buio, Vicolo de’ Calderai e anche Vicolo del Pellegrino.
L’intitolazione di questo breve tratto stradale senza sfondo a Sabatino Mori è stata voluta dalla Contrada Priora della Civetta nel venticinquesimo anniversario della scomparsa di questo suo grande Dirigente, Capitano paliesco plurivittorioso e personaggio mitico. “Batino”, così era chiamato dagli amici e dai Civettini, come capitano conquistò per la Civetta i successi nei Palii del 18 maggio 1947 (straordinario a celebrazione del VI Centenario Cateriniano), del 18 agosto 1976 e del 4 luglio 1979. Egli fu pure Mangino vittorioso nel Palio straordinario del 4 settembre 1960, dedicato al VII Centenario della battaglia di Montaperti. Il Mori aveva fatto della propria Contrada la sua famiglia, contribuendo a migliorarne la sede e le strutture nel Castellare; inoltre, alla propria morte, volle la Civetta erede universale dei suoi beni.
Piazza del Campo
“Dalla Costarella a sinistra circondi la Piazza fino al Chiasso Largo, e seguendo dalla parte del Palazzo Zondadari, salga a S. Vigilio…” Con queste parole il Bando sui confini del 1729 assegna alla Contrada Priora della Civetta la giurisdizione territoriale su una parte di piazza del Campo: la linea di confine, distaccatasi da Via di Città, discende la Costarella dei Barbieri, e si sviluppa lungo il circuito perimetrale della piazza, occupandone il lato sinistro fino al Chiasso Largo.
La Piazza del Campo è lo spazio urbano più affascinante e più grandioso della città, tanto che nel linguaggio comune viene detta Piazza senza altre aggiunte. La piazza trasse il suo nome dal campus, cioè dal luogo naturale destinato agli scambi ed alle attività commerciali cittadine nell’alto medioevo. Oggi la piazza risulta composta di due zone: una, quasi rettilinea, che va dalla Via Rinaldini alla Bocca del Casato, abbassata in corrispondenza del Palazzo Pubblico ed elevata alle estremità; ed un’altra pianeggiante, che congiunge con un largo semicerchio questi due punti. Nell’insieme si forma una specie di conca con l’aspetto quasi di conchiglia (o di ventaglio) inclinata verso il lato meridionale, che conferisce alla piazza una speciale e singolare fisionomia.
La torre, alta ben 87 metri (102 sino al parafulmine), che impresse a tutto il complesso un’eleganza ascensionale, fu realizzata tra il 1325 ed il 1344.
La configurazione del Campo risultò arricchita con la costruzione al suo interno della fonte pubblica.
La torre, che appare assai slanciata per l’altezza più modesta del Palazzo della Signoria, avrà nel 1666 il famoso campanone Sunto, cosiddetto perché i suoi rintocchi ricordano al popolo senese la protezione sulla città della Madonna Assunta.
Nel Seicento, una serie di terremoti reali e metaforici sconvolse la Piazza e determinò il profondo travaglio che lasciò l’aspetto del Campo quasi com’è attualmente..
Operazioni mirate a “regolarizzare” l’aspetto della piazza e del Palazzo Pubblico si ebbero anche dopo l’unità d’Italia.
Oggi, indubbiamente, il moderno sviluppo della città ha comportato il suo allungamento verso nord, ma il Campo è rimasto il centro non soltanto ideale di Siena.
Palazzo Pubblico e Torre del Mangia
Insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano
Fonte Gaia
Via Banchi di Sotto
Dal crocevia del Travaglio principia BANCHI DI SOTTO, che è la prosecuzione in direzione sud-est di Banchi di Sopra. Rientra nel territorio della Contrada Priora della Civetta per buona parte, fino a Via Rinaldini, “fasciando” i palazzi del Campo a principiare dalla torre di Rocca Bruna nell’angolo del Vicolo di S. Pietro. Anche oltre il Chiasso Largo, lungo di essa nobili edifici gotici si allineano insieme a palazzi rinascimentali e barocchi. La via Banchi di Sotto termina alle Logge del Papa. Banchi di Sotto ci ricorda con la sua denominazione l’originaria funzione del tratto urbano centrale della Francigena, che era il luogo ambito per le attività economiche e bancarie delle consorterie medioevali più potenti.
Via Banchi di Sopra
BANCHI DI SOPRA (senza l’aggiunta del termine “via”) è la principale arteria cittadina, la Strada Maestra indicata dal bando sui confini del 1729. Per buona parte, questa importante strada appartiene alla Contrada Priora della Civetta. .
Banchi di Sopra, si distende da Piazza Salimbeni verso l’antico centro commerciale e politico della città. E quando la strada, curvando leggermente, si allarga, lascia intravedere al di sopra dei palazzi la parte terminale della Torre del Mangia.
Anticamente il tratto da Via dei Montanini a Piazza Tolomei era chiamato Strada di Pellicceria, mentre la denominazione di Banchi di Sopra era propria del tratto da Piazza Tolomei alla Croce del Travaglio.
Nel medioevo, potenti famiglie di illustre e nobile discendenza, avevano eretto i loro casamenti con alte torri, logge e castellari.
Purtroppo i palazzi, e soprattutto quelli che danno un carattere monumentale, al corso ed al centro cittadino furono quasi tutti ristrutturati in epoca granducale, perdendo così le loro caratteristiche originali.
Banchi di Sopra termina alla spianata del Travaglio, dinanzi alla Loggia della Mercanzia, definita dal Lusini vestibolo del bellissimo Campo.
Piazza e Palazzo Salimbeni, Palazzo Tantucci e Palazzo Spannocchi
Via Sallustio Bandini
La Via di S. Vigilio incontra VIA SALLUSTIO BANDINI dinanzi al bel palazzo rinascimentale Bandini Piccolomini.
Una lapide commemorativa attesta che vi ebbe i natali l’economista senese, a cui, dal 1871, è intitolata la via.
La strada unisce Via del Refe Nero a Via di Follonica con due tratti ben distinti. Il tratto che ebbe nome Via dei Miracoli (nel solo lato adiacente al Castellare ed al complesso di S. Cristoforo) appartiene alla Contrada Priora della Civetta.
Il toponimo di Via dei Miracoli nacque perché in questa strada avvenne il maggior numero dei prodigi operati dalla Madonna di Provenzano. Questo appellativo popolare non piacque agli amministratori comunali che redassero lo “Stradario Mazzi”; pertanto il toponimo fu fatto scomparire e tutta la strada, da S. Giovannino in Pantaneto fino all’incrocio di Via del Moro, fu dedicata all’economista Sallustio Antonio Bandini (1677-1760).
Museo e Oratorio della Contrada Priora della Civetta
Il Museo della Contrada Priora della Civetta si trova all'interno del Castellare degli Ugurgeri.
Nelle sale del Museo, oltre ai Palii ed ai Masgalani (cioè i premi per la migliore comparsa nel corteo storico dei due palii annuali) vinti dalla Civetta nella sua storia, si conservano anche antiche monture, vari arredi sacri ed altre opere d'arte di cui la contrada è in possesso.
LINK PAGINA MUSEO
ORATORIO DELLA CIVETTA
L'Oratorio della Civetta si trova in via Cecco Angiolieri, sul lato sinistro della strada che scende da piazza Tolomei verso S. Vigilio formando due curve in lieve pendenza. La chiesa è collocata nel volume basamentale di una torre facente parte di quell'insieme di costruzioni medioevali che, disposte approssimativamente in cerchio, formarono nei secoli XI e XII il Castellare della famiglia Ugurgeri. La scelta del luogo in cui realizzare la chiesa si rivelò molto felice poichè i civettini, dopo aver sistemato in prossimità del Castellare il loro luogo di culto, si sono insediati ancora più concretamente in quello spazio suggestivo acquistando altri ambienti che, dopo importanti lavori di recupero e valorizzazione, sono divenuti sede prestigiosa della Società di Contrada Cecco Angiolieri. Oggi, dunque, il cortile interno, di forma quasi triangolare, intorno al quale sono disposti i corpi verticali delle case-torre, rappresentano il cuore della Civetta: nell'angolo nord è l'ingresso alla stalla del cavallo, dal lato est si accede alla Sede (con la Sala delle Adunanze e il museo), sul fronte opposto si aprono le stanze comunicanti con la sagrestia. Il Castellare ha due ingressi entrambi coperti: il primo da via Cecco Angiolieri, pochi metri a destra dell'Oratorio, ad archivolto, ed il secondo da via S. Vigilio, che passa sotto lo stretto vicolo del Castellare voltato a botte.
La fondazione
La Civetta è stata l'ultima Contrada che si è costruita un Oratorio per officiare le proprie feste religiose e tutte le sacre funzioni. Da molto tempo i contradaioli sentivano la necessità di acquisire un luogo dignitoso e definitivo; durante l'adunanza del 5 maggio 1922, il Vicario Corrado Spediacci, esponendo la situazione riguardante il tentativo di procurare alla Civetta una sede adeguata, dette "... chiarimenti circa le pratiche fatte per un'eventuale sede nella chiesa di S. Vigilio, facendo notare come da anni la Contrada si trovi nell'impossibilità di avere una sede propria..., quindi occorre provvedere". I dirigenti della Civetta cercarono dapprima, come dimostra il riferimento alla chiesa di S. Vigilio, di farsi assegnare dalla Curia Arcivescovile l'uso perpetuo di un edificio sacro non officiato, tentando la strada che, alla fine del 700, aveva dato a molte Contrade la possibilità d'acquisire chiese abbandonate. Gli sforzi compiuti in tal senso non portarono risultati concreti, cosicché i civettini decisero di risolvere il secolare problema con le proprie forze. Nel 1932 venne nominata una "Commissione incaricata di trovare un locale adatto alla sede della Contrada", il 20 agosto dello stesso anno la Commissione informò l'assemblea generale che il falegname Agostino Semplici era disposto a vendere un suo locale, posto al numero 11 di via del Re, confacente al bisogno della Contrada. L'assemblea, presieduta dal Priore Guido Ricci, si pronunciò unanimemente in favore dell'acquisto, nella convinzione che "...la Contrada potrà finalmente avere una sua sede degna...". La falegnameria del Semplici era costituita da tre stanze su due piani e costò alla Civetta quindicimila lire; l'atto di vendita fu stipulato il 21 dicemebre 1932 presso il notaio Ricci; firmarono per la Contrada il consigliere Rodolfo Angelucci e il camerlengo Ruggero Rosso.
Vicende della costruzione e arricchimento artistico
Il 31 ottobre 1932, ancora prima d'entrare legalmente in possesso del locale in cui voleva edificare il suo Oratorio, la Contrada aveva esaminato i progetti forniti da due architetti per la sua ristrutturazione: Geremia Mastii aveva presentato una soluzione di ispirazione settecentesca, mentre Bruno Bruni, rimanendo più aderente alle caratteristiche storiche della costruzione che avrebbe ospitato la nuova chiesa, propose un intervento di matrice neogotica. La Commissione valutò positivamente il progetto dell' arch. prof. Bruni, basato essenzialmente sul ripristino di un portale a sesto acuto del quale rimaneva traccia nel basamento della torre, giudicandolo in maggiore accordo con lo stile prevalente del Castellare e meno costoso da realizzare. Subito dopo l'acquisto dell'immobile, la Contrada chiese il permesso di costruzione, affidando l'opera di ristrutturazione all'impresa di Amedeo Luchini; il 13 febbraio fu stipulato un contratto che descriveva gli interventi da compiere e che prevedeva l'ultimazione dei lavori entro il 30 maggio 1933. La parte più importante riguardava il prospetto su via del Re, basamento in pietra dell'antica torre degli Ugurgeri, che aveva subito nel tempo evidenti manomissioni: l'ingresso originale, testimoniato dall'arco ogivale, era stato chiuso ricavando ai suoi lati due porte rettangolari, mentre, a destra dell'arco, una trasformazione cinquecentesca aveva aggiunto una finestra architravata per dare luce al piano superiore. Il progetto dell'architetto Bruni richiuse le due aperture per collocare l'ingresso in asse con l'antico arco a sesto acuto, la finestra esistente fu ridisegnata più stretta come quella di una torre gotica, sistemando al suo interno una piccola campana. Il prospetto sul Castellare, che aveva un'apertura con arco a tutto sesto, rimase immutato, la finestra fu invece resa leggermente più stretta. All'interno fu eliminato il controsoffitto, riportando alla luce la volte a botte ribassata; una parete trasversale ebbe la funzione di separare il volume anteriore, dedicato alla chiesa, da quello retrostante, dove trovò posto la sagrestia e una scala la quale, salendo all'ambiente soprastante, permetteva di uscire sulla piazzetta interna, più alta di un metro e mezzo rispetto all'Oratorio. Del progetto che aveva presentato nel settembre 1932, il Bruni fornì due mesi dopo una variante che riguardava la pianta della sagrestia e l'apertura verso l'interno del Castellare: nella prima versione era stata prevista una scala a rampa unica, appoggiata alla parete divisoria che portava al piano superiore, ma non consentiva di uscire sulla corte; la seconda soluzione spostò la scala in un angolo, facendole assumere una forma a due rampe in modo da sfruttarne il piano intermedio per avere acceso all'esterno. Cambiò di conseguenza anche il disegno del prospetto rivolto sul Castellare, dove un portone sostituì appropriatamente una doppia finestra sovrapposta. Ambedue le varianti proponevano inoltre la costruzione di un soppalco sopra l'ingresso per sistemarvi il coro o l'orchestra, idea che venne poi accantonata. La trasformazione della facciata fu portata a compimento celermente entro il 1934; da quell'anno però il completamento definitivo dell'Oratorio subì il primo ritardo, generato dalla vittoria riportata nel 1934, che indebolì le casse della Contrada. Nel 1936 fu costruito l'altare marmoreo, l'anno successivo la Civetta vinse nuovamente il Palio dopodichè i lavori furono rallentati dal conflitto mondiale. Al termine della guerra, quando l'Oratorio era ormai pronto, sorsero però dei problemi da parte della Curia che non intendeva permettere la consacrazione di un luogo di culto situato sotto ad un complesso di abitazioni private. Per superare l'ostacolo imprevisto, la Contrada si rivolse a Giuseppe Zaccheroni, istriciaolo, che in veste di vicario si adoperò presso l'Arcivescovo al fine di ottenere l'autorizzazione necessaria per poter ospitare l'ostia consacrata dentro la nuova chiesa. Il vicario riuscì ad assolvere velocemente al suo delicato compito: il 5 settembre 1945 il delegato arcivescovile, Mons. Agostino Campanini, benedisse l'Oratorio e, il giorno successivo, l'Arcivescovo Mario Toccabelli consacrò l'altare: l'inagurazione al pubblico fu tenuta il 16 settembre. Una trasformazione sostanziale dell'aspetto interno fu poi operata nel 1973, decidendo di scrostare dalle pareti l' intonaco dipinto a fasce orizzontali bianche e grigie che il Bruni vi aveva fatto eseguire (decorazione "in stile" ritenuta non più consona alla mutata sensibilità estetica), in modo da rendere visibile la muratura sottostante in pietre e mattoni.
All'interno si trovano un olio su tela di Vincenzo Rustici, della fine del '500, raffigurante la Madonna con i Santi Carlo Borromeo e Luigi Gonzaga. Tra gli arredi sacri, due stupendi calici d'argento a sbalzo e cesello del XVII e un reliquiario di legno della fine del secolo successivo. Molti reperti sono tornati alla luce dopo il recupero del "pozzo di butto", oggetti che appartengono al periodo dal XIV al XVIII secolo.
Gli affreschi della Chiesa
Piccola tela ovale raffigurante “Sant’Antonio da Padova con il Bambino Gesù”
da "L'Oratorio di Sant'Antonio", edito dalla Contrada Priora della Civetta
Via di Calzoleria
VIA DI CALZOLERIA è la via, che da Piazza Tolomei scende in Banchi di Sotto di fronte all’arcone del Vicolo dei Borsellai.
Via di Calzoleria era la vecchia strada degli scarpai. Nella seconda metà del secolo XIV vi furono infatti trasferite le botteghe dei calzolai, già situate nel tratto di Via di Città.
Nei secoli successivi però vi si insediarono soprattutto artigiani che lavoravano ferro ottone, piombo e stagno per fare paioli di diverse grandezze, calderoncelli, bragiali, scaldini, teglie, fornelli ed altri attrezzi da cucina.
Via di Città
Una delle tre antiche strade irradiantisi dalla Croce del Travaglio è VIA DI CITTÀ. Il toponimo ne indica la destinazione primitiva. Via di Città era diretta (percorrendo un tracciato probabilmente etrusco) alla civitas per antonomasia, cioè al nucleo antico della città alto-medioevale. Nel 1900, dopo l’assassinio del “Re Buono” a Monza, tutta Via di Città, dalla Croce del Travaglio a Piazza Postierla, fu intitolata Via Umberto I. Le fu restituito il nome che mantiene ancor oggi nel giugno 1905, allorché la dedicazione in onore del monarca sabaudo fu trasferita all’attuale Piazza G. Matteotti. Il primo tratto, appartiene quasi interamente alla Contrada Priora della Civetta.
Via del Moro
Scendendo a diritto sulla sinistra della chiesa di S. Cristoforo per Via del Moro, un portale in pietra immette in un piazzaletto, caratterizzato su due lati da un basso porticato con tozze colonne in laterizio dai capitelli in tufo giallo grossolanamente scolpiti.
Due pietre sepolcrali, tra cui quella di ser Deo, figlio di Ciecho di misere Anginhiere, con tre mitre papali, murata nella nuda abside della storica chiesa, ricordano l’antica presenza di un cimitero parrocchiale.
E’ il chiostro di S. Cristoforo: un suggestivo angolo di Siena medioevale, che sembra richiamare strutture quasi monastiche, che purtroppo è stato in gran parte alterato durante il restauro del 1921.
Via del Moro muove da Piazza Tolomei, piega a sinistra e poi subito a destra, per scendere al santuario mariano di Provenzano con due brevi tratti in discreta pendenza.
La prima parte della discesa, quella facente parte del territorio della Contrada Priora della Civetta, in passato venne detta Costa dell‘Oste del Moro, appellativo che consente di comprendere anche l’attuale toponimo di Via del Moro. Nella seconda metà del secolo scorso, la Contrada della Civetta ha scoperto l’insegna del Moro nei fondi della Soprintendenza e ne ha patrocinato il restauro ed il recupero, per abbellire con essa l’interno della Società “Cecco Angiolieri”.
Via del Refe Nero
VIA DEL REFE NERO scende fino ad incontrare Via Sallustio Bandini, girando sul retro dei fabbricati che stanno a ridosso del Palazzo Bichi Ruspoli. La strada inizialmente è tanto stretta, che pare un vicolo. Alla Civetta spetta il lato destro della scesa.
Il curioso nome medioevale di Via del Refe Nero è da collegare a qualche laboratorio dell’Arte dei Linaioli, che in passato produceva, o usava, il refe (filo piuttosto grosso e resistente).
Il refe nero serviva ai calzolai, ai valigiai, agli scarsellai ed ai cerbolattai, nonché ai merciai, per la cucitura del cuoio, dei pellami e dei tessuti robusti come il fustagno o spessi come il feltro.
La manifattura senese del lino e della canapa, assai modesta nel medioevo, raggiunse il massimo successo commerciale nel secolo XVIII.
Via dei Rossi
VIA DEI ROSSI inizia dall’Arco dei Rossi e termina all’Arco di S. Francesco (già Portone dei Frati Minori), oltre il quale si apre l’ampia Piazza di S. Francesco.
La linea di confine del territorio della Civetta che muove da Banchi di Sopra si sviluppa sul lato destro, dall’Arco dei Rossi sino a Via del Refe Nero.
All’Arco dei Rossi è legata una leggenda, relativa al martirio di Sant’Ansano.
Presso questo luogo, ritenuto sacro, eresse il proprio palazzo fortificato la nobile famiglia dei Rossi.
L’Arco dei Rossi (detto in passato Arco secondo dei Rossi per distinguerlo dal primo, che era quello noto oggi come Arco dei Pontani) fu uno degli ingressi di un munitissimo castellare.
La strada fu ampliata nel 1290, ma il borgo distesosi lungo il crinale del colle d’Ovile fino alle mura costruite agli inizi del secolo XIII mantenne a lungo l’aspetto di quartiere povero. Nel Trecento vi trovarono dimora nella parte alta del rione noti cittadini.
Via dei Termini
La VIA DEI TERMINI ha un decorso parallelo a Banchi di Sopra, ma all’inizio, quando lascia il poggio dei Malavolti, il suo andamento planimetrico è diverso da quello della strada maestra, che discende abbastanza regolare verso la Croce del Travaglio.
In passato (secolo XVIII) Via dei Termini risultava composta da più tratti, e soltanto l’ultimo aveva questo nome.
Via dei Termini presenta diversi vicoli, che l’uniscono a Banchi di Sopra o che scendono in Via delle Terme.
In passato erano ancor più numerosi: alcuni scomparvero ai primi dell’Ottocento in conseguenza all’ampliamento delle case adiacenti o sovrastanti.
Nel territorio della Contrada Priora della Civetta , discendendo Via dei Termini dal lato sinistro s’incontra la Via dei Pontani, il Vicolo della Torre, il Vicolo del Coltellinaio, il Vicolo di Pier Pettinaio.
Altri vicoli sono dal lato destro di Via dei Termini, ma appartengono ad altre Contrade.
Via delle Terme
L’appellativo di Via delle Terme deriva dalla credenza che, in epoca romana, nei pressi di questa strada vi fossero stati i bagni pubblici.
Il tratto principale di Via delle Terme, cioè quello che unisce Via della Sapienza alla Piazza dell’Indipendenza, mantenne a lungo la denominazione medioevale di Via dell’Arte della Lana (o più semplicemente di Via dell‘Arte).
Ebbe tale appellativo perché per molti secoli fu la strada principale di una zona caratterizzata dalla presenza della corporazione dei Lanaioli.
Via delle Terme si apre su Piazza dell’Indipendenza, che poi lascia sulla sinistra per innestarsi quasi subito in Via di Città. E’ la parte sinistra di questo breve tratto che appartiene alla Contrada Priora della Civetta.
Via San Vigilio
La VIA DI S. VIGILIO sale da Banchi di Sotto alla chiesa di S. Vigilio, innestandosi poi in Via Sallustio Bandini con un breve tratto pianeggiante. Appartiene alla Contrada Priora della Civetta tutto il lato sinistro.
La via e la porticciola presero il nome dalla chiesa e dall’antica badia di S. Vigilio, erette tra l’XI e il XII secolo presso il Castellare degli Ugurgieri.
La chiesa è citata per la prima volta in un documento del 1154, ed era sede parrocchiale. Furono gli stessi conti della Berardenga ad erigerla, come stanno a dimostrare i due leoni di marmo, loro arme antica, murati nell’abside su Via Sallustio Bandini. In quel periodo accolse la Compagnia Militare di S. Vigilio, che aveva un’insegna azzurra con grifo d’oro ungulato di rosso, i cui uomini, uniti a quelli di San Pietro alle Scale in Banchi e di S. Cristoforo in occasione della Caccia dei Tori del 1546 si presentarono nel Campo con una civetta viva su un vassoio d’argento, dando vita alla Contrada della Civetta.
Il Bando sui confini delle Contrade ha tagliato fuori dal territorio della Civetta il tempio e la badia di S. Vigilio.
Via Rinaldini
I Senesi preferiscono chiamare la VIA DEI RINALDINI con il popolare nome di Chiasso Largo. Di questa strada, che rappresenta il principale collegamento tra Banchi di Sotto e il Campo, fa parte del territorio della Contrada della Civetta soltanto la corsia a ridosso del Palazzo Chigi-Zonddadari. Dall’altra parte del Chiasso Largo prospetta il suo fianco possente un altro stupendo edificio: si tratta del Palazzo Piccolomini, la cui facciata, in puro stile rinascimentale fiorentino, dà su Banchi di Sotto.
Il Chiasso Largo è il luogo dove, nei giorni di pazzia del Palio alzano il grido e il canto i contradaioli, quando, dopo le prove, si allontanano dalla Piazza scortando il proprio barbero.
Piazza Indipendenza
PIAZZA DELL’INDIPENDENZA rappresenta un ampliamento di Via delle Terme. In origine l’area della piazza era inferiore a quella attuale, poiché vi si protendeva la chiesa di S. Pellegrino, demolita nel 1812 per creare uno spazio più comodo dinanzi all’ingresso del Teatro dei Rozzi.
L’intitolazione attuale le fu data per ricordare la raggiunta indipendenza italiana poco dopo il 1878, quando fu eretta la loggia destinata ad ospitare il monumento commemorativo, dedicato ai Caduti nelle guerre del Risorgimento nazionale.
Anticamente la piazza ebbe nomi diversi, è assegnata dal Bando del 1729 alla Contrada Priora della Civetta.
Nel maggio 1879 l’area fu designata dal Consiglio Comunale ad accogliere il monumento ai Martiri dell’Indipendenza italiana. I lavori furono affidati all’architetto Archimede Vestri che, nel 1887, costruì sullo sfondo della piazza un loggiato a tre arcate, una nuova facciata per i fabbricati ai lati di questo ed una gradinata sulla quale due anni dopo venne collocato il monumento, opera di Tito Sarrocchi, rappresentante una donna, l’Italia, che stringe nella mano sinistra lo scettro, mentre con la destra fa l’atto di deporre sopra un leone ferito e morente disteso ai suoi piedi una corona, sulla quale è scritto: AI PRODI SENESI PER ME CADUTI. La statua fu inaugurata il 20 settembre 1879 [Il Libero Cittadino, 28 sett. 1879].